Il comunismo è e rimane l'unica prospettiva di superamento positivo della società capitalistica. Ma quest'ultima, malgrado le sue traversie, pare divenuta un orizzonte insuperabile, e le forze protese al suo abbattimento sono oggi ridotte alla clandestinità e alla dispersione, se non al disorientamento. L'epoca del movimento operaio tradizionale, delle transizioni socialiste e dei loro programmi si è da tempo conclusa. Il patrimonio delle lotte e delle correnti teoriche del passato richiede un riesame profondo per separare ciò che è vivo da ciò che è morto. Il rapporto intercorrente tra le lotte quotidiane del proletariato, i movimenti interclassisti di massa dell'ultimo decennio e la rottura rivoluzionaria possibile appare più enigmatico che mai. La teoria comunista richiede nuovi sviluppi, per essere restaurata nelle sue funzioni. La necessità di affrontare questi nodi ci interpella in prima persona, come dovrebbe interpellare tutti i sostenitori del «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». I nostri mezzi sono a misura alle nostre forze: modesti. Impossibile in queste condizioni pretendere di essere i fautori unici e infallibili di una rifondazione teorica che arriverà a maturità solo in un futuro non prossimo. Ma è solo iniziando a camminare che si cominciano a tracciare strade percorribili.

domenica 21 dicembre 2014

Marx e la comune agricola russa: cui prodest?

Il Lato Cattivo   

[...] Non manca di suscitare la nostra curiosità, il fatto che un certo numero di commentatori attuali attribuiscano particolare rilevanza al carteggio Marx-Zasulic sull'obščina (la comune agricola russa). Fra gli altri, il recente libro di Ettore Cinnella, L'altro Marx (Della Porta, Cagliari-Pisa 2014) ne ricostruisce interamente la genesi – e ben poco gli si può eccepire dal punto di vista strettamente documentario. Ma – come dicevamo – nessuna interpretazione è innocente, e ciò dovrebbe far riflettere sulle ragioni per le quali questo tassello della produzione teorica marxiana, acquisisca interesse per i contemporanei e possa divenire, per taluni, una sorta di nuova pietra angolare.

giovedì 9 ottobre 2014

«Questione curda», Stato Islamico, USA e dintorni

Il Lato Cattivo


Il testo che segue era stato inizialmente preparato in vista di un incontro pubblico – tenutosi a Bologna all'inizio di settembre 2014 – con Daniele Pepino, autore dell'articolo Kurdistan. Nell'occhio del ciclone (in «Nunatak», n. 35, estate 2014). Impossibilitati a partecipare all'incontro, abbiamo ulteriormente rimaneggiato la bozza iniziale; ciò che ne risulta può essere letto sia come una serie di note in margine all'articolo summenzionato, sia come un testo autonomo.
Kurdistan. Nell'occhio del ciclone ha il merito di presentare in maniera chiara un quadro delle forze politiche che agiscono nella regione curda; ma l’articolo apre a una serie di interrogativi che ci preme sollevare. Al di là di una semplice messa a valore dell'intervento delle milizie del PKK a sostegno dei curdi yezidi, minacciati dallo Stato Islamico (IS), nell'Iraq del nord, l'autore opera una vera e propria apologia di tale organizzazione e della sua pretesa svolta «libertaria» (il cosiddetto confederalismo democratico). Inoltre, l'assenza di una descrizione delle forze sociali e di classe di cui le varie organizzazioni sono espressione, fa apparire il loro operato come il prodotto di semplici scelte soggettive operate da individui indeterminati. Infine, varie questioni, dal finanziamento dello stesso PKK al quadro delle alleanze che va definendosi in Medio Oriente, sono affrontate in modo troppo sbrigativo. Beninteso, per trattare in maniera esauriente tutti questi punti occorrerebbe scrivere svariati libri; perciò le note che seguono non saranno meno lacunose. Ma pensiamo possano mettere sotto una luce diversa tanto le recenti evoluzioni della «questione curda», quanto i conflitti che stanno accendendo ancora una volta il Medio Oriente. Senza dimenticare che, se ciò può avere una qualche utilità per noi o per altri, essa risiede nel fatto di poter porre non la questione dell'autonomia (qualunque cosa significhi), ma quella del comunismo.[...] 

martedì 22 luglio 2014

Lettera sull'antisionismo

R. F.  

[...] Il minimo, non oso nemmeno dire di solidarietà, ma di rispetto che possiamo avere per i proletari palestinesi, ultimi tra gli ultimi, impone in primo luogo di essere lucidi e disillusi sulla situazione attuale, di non trattarli né come dei rincoglioniti che si fanno abbindolare da Hamas, né come dei santi investiti dal Mandato del Cielo Proletario. Cercando – ove possibile, con atti, parole, scritti – di far saltare il dispositivo antisionista, alla stessa maniera in cui cerchiamo di far saltare l'antimondialismo (difesa del capitale nazionale contro il capitale mondializzato, o del capitale industriale contro il capitale finanziario), il pacifismo (rivendicazione della pace capitalista contro la guerra) e tutte le proposte di gestione alternativa del capitale, che fanno parte del corso quotidiano della lotta di classe e allo stesso tempo non permettono in nessun caso di essere semplicemente raddrizzate o radicalizzate (si tratterebbe allora, nel caso che ci occupa, di un antisionismo «di classe» o «rivoluzionario», che è semplicemente una contraddizione in termini). Senza per questo ricadere nell'illusione immediatista di credere che si potrebbe mettere in avanti quella che si chiama, nel gergo politicante, un'alternativa credibile. Il comunismo non è il prodotto di una scelta, è un movimento storico. Con questo approccio ho cercato di affrontare la questione in queste pagine. Fermo restando che, a forza di ragionamenti fatti a colpi di categorie borghesi come «diritto», «giustizia» e «popolo», non solo risulta ormai ben difficile immaginare una soluzione qualsivoglia, ma è diventato quasi impossibile anche soltanto dire cose sensate al riguardo. 

Versione pdf » 

English version »     Version française »     Versiòn castellana »

giovedì 3 luglio 2014

Donne e sovversione sociale

Mariarosa Dalla Costa (1972)


Queste osservazioni per un tentativo di definizione e di analisi della «questione femminile» individuano la questione stessa nell'intero «ruolo femminile» quale la divisione capitalistica del lavoro ha prodotto.
Privilegiamo in queste pagine la figura della «casalinga» come figura centrale di questo ruolo. Presupponendo che tutte le donne che lavorano fuori casa continuano a essere anche delle casalinghe. Cioè, a livello mondiale, è proprio questa specificità del lavoro domestico non solo come quantità di ore e tipo di lavoro ma come qualità di vita e qualità di relazioni, che determina la collocazione della donna ovunque essa si trovi e a qualunque classe appartenga.
Il fatto che abbiamo qui puntualizzato l'analisi sulla donna di classe operaia non vuol dire affatto che solo le donne di classe operaia sono sfruttate. Ma vuol ribadire che il ruolo della casalinga di classe operaia, che riteniamo sia stato indispensabile alla produzione capitalistica, è determinante per la posizione di tutte le altre donne.

martedì 29 aprile 2014

Dossier-Bosnia

Autori Vari 

Il «dossier» che qui proponiamo, prende a tema l'ondata di lotte che ha investito la Bosnia-Erzegovina nel febbraio 2014, e si compone di due parti: il primo testo è un insieme di riflessioni e aneddoti scritti «a caldo» da un compagno che ha partecipato al movimento, corredato da una scarna cronologia; il secondo, di carattere più propriamente teorico, permette di inquadrare i recenti fatti di Bosnia alla luce della storia delle lotte di classe nell'area balcanica, e della loro trasformazione e ritrasformazione in «irrisolvibile montaggio» di confini nazionali e modulazione delle realtà etniche.
Evidentemente l'occasione è buona per mostrare, una volta di più, che al fondo della «balcanizzazione» della ex-Jugoslavia (e di ogni altra area) c'è sempre il rapporto capitalistico, e dunque il rapporto di classe fra proletariato e capitale: nulla di ciò che accade nella società del capitale è estraneo a questo rapporto. Ciò detto, se ci fermassimo qui, ci saremmo limitati alla polemica e alla riaffermazione di un principio. Vorremo invece, con questo «dossier», stimolare tra i nostri quattro lettori una riflessione sulle nuove configurazioni di cui la crisi attuale potrebbe essere portatrice. Come già messo in rilievo da altri prima di noi, la ristrutturazione capitalistica, a partire dagli anni 1970, ha posto in essere un nuovo e particolare assetto spaziale [...]. La crisi attuale è anche crisi di questa organizzazione spaziale, ormai diventata controproducente. [...]
Ci chiediamo, allora, se quest'ondata di lotte in Bosnia e il loro discorso politico anti-particolarista e – come afferma l'autore del primo testo – perfino «neo-titoista», non suggeriscano un'inversione di tendenza rispetto alla dinamica di frammentazione vista all'opera negli ultimi trent'anni in tutta una serie di regioni a bassa intensità di capitali, e puntualmente alimentata dagli interventi militari di USA e NATO. [Dalla Introduzione redazionale]

sabato 15 marzo 2014

Noi non siamo "Anti-"

Bernard Lyon

Noi non siamo “Anti-”, ovvero non siamo contro le forme estreme dello sfruttamento, dell'oppressione, della guerra o di altri orrori. Essere “Anti-”, vuol dire scegliere un aspetto particolarmente insopportabile della realtà capitalistica e tentare di costruire un'alleanza contro di esso.
   Non essere “Anti-”, non significa essere massimalisti, proclamare ai quattro venti di essere fautori di una rivoluzione totale, e che all'infuori di essa non c’è che il riformismo; ma significa che quando ci si oppone al capitale in una situazione reale, lo si fa senza contrapporgli una sua versione “buona”. Una rivendicazione o un rifiuto non affermano niente di diverso da ciò che sono: lottare contro l'innalzamento dell'età pensionabile, non equivale a promuovere una migliore gestione del salario indiretto e socializzato; lottare contro la ristrutturazione, non significa essere Anti-liberisti, ma semplicemente opporsi, qui ed ora, a determinate misure. E d'altronde, solo così le lotte possono andare oltre se stesse. 

 
 

venerdì 28 febbraio 2014

Ultrasinistra e negazionismo

Anonimo

Il negazionismo persegue il camuffamento sistematico del genocidio perpetrato dai nazisti, nel momento stesso in cui essi lo compiono. A Sobibor, campo di pura e semplice messa a morte in massa, i nazisti avevano inizialmente sepolto i cadaveri in alcune fosse, ma le riaprirono per bruciare le prove del crimine. Si vede chiaramente che la negazione del genocidio, e in particolare la negazione dell'esistenza delle camere a gas, non fu una trovata post festum e tardiva, ma fu attuata tale e quale sin dall’inizio. Le camere a gas sono esistite, lo sterminio degli ebrei fu una necessità funzionale per la Germania nazista nella sua guerra all'Est (decisione allora estesa a tutte le zone occupate). Che il capitale – nel compimento del suo passaggio al dominio reale, nel corso della Seconda Guerra mondiale, nell’area europea centrale ed orientale – abbia prodotto lo sterminio degli ebrei, non ha, per qualsiasi analisi del modo di produzione capitalistico, alcunché di inspiegabile: compimento della formazione degli Stati-nazione; eliminazione delle fedeltà intermedie a comunità particolari in opposizione alla comunità astratta del cittadino; universalizzazione dell'individuo della società civile nel proprio rapporto allo Stato; eliminazione di un proletariato refrattario e in parte organizzato sulla base di questa particolarizzazione comunitaria; concorrenza all'interno della piccola borghesia; eliminazione della particolarizzazione della circolazione del capitale-denaro etc. Tutto questo, organizzato in un razzismo di Stato.

giovedì 27 febbraio 2014

Il sionismo, aborto del movimento operaio

«Le Brise-Glace» (1989)

Fino alla propagazione del modo di produzione capitalistico nel XVIII secolo, gli ebrei restavano, nella regione euro-mediterranea, una delle rare comunità precapitalistiche ad essere sopravvissute al loro spostamento geografico. Questa comunità aveva potuto mantenersi così a lungo facendosi l'agente sociale della circolazione delle merci e del denaro nella società feudale europea, dove tale circolazione costituiva una base esteriore al processo di produzione precapitalistico. È poggiando su questa base che gli ebrei avevano potuto mantenere – come un'isola, indubbiamente precaria, in mezzo alla società circostante – la loro vita comunitaria, con la sua organizzazione interna relativamente autonoma.
Quando il capitalismo divenne il modo di produzione dominante in Europa, l'ora della comunità ebraica era suonata. Permeando ormai tutta la società, il valore vi perdeva la sua posizione esteriore rispetto al processo di produzione. Gli ebrei vedevano dissolversi, contestualmente, la condizione materiale della loro riproduzione in quanto comunità separata dalla società. 

venerdì 7 febbraio 2014

L’insurrezionalismo come una delle espressioni della dinamica del ciclo di lotte attuale

Amer Simpson

[Il testo che segue, originariamente pubblicato in francese su dndf.org, è la risposta a un articolo apparso sul sito spagnolo comunizaciòn.org nel giugno 2011, con il titolo Una vez màs: debate sobra la comunizaciòn. Entrambi i testi furono pubblicati, in traduzione italiana, sul n. 1 de “Il Lato Cattivo” (Un dibattito sull’insurrezionalismo). Il titolo è redazionale.]

La corrente insurrezionalista è una produzione teorica allo stesso titolo dell'insieme degli altri atti e discorsi che sono prodotti dal corso quotidiano della lotta di classe. Infatti, è la lotta a produrre la sua teoria, attraverso l'insieme delle pratiche che cercano di rispondere a una situazione particolare, all'interno di una congiuntura che detta il ritmo della lotta stessa. La produzione capitalistica produce storicamente il proprio superamento, ma lo produce in quanto pluralità di lotte disperse dentro le categorie del capitale, essendo ciascuna il contenuto della fase attuale della lotta di classe. Le lotte sono dunque teoriche: sono esse che producono l'insieme dei contenuti che le differenti correnti ideologiche traducono in maniera più o meno adeguata. Nessuno è in grado di fornire una risposta complessiva, ma soltanto una risposta adeguata ad alcuni problemi particolari sulla base di una prospettiva generale. In queste condizioni, tutti hanno qualcosa da dire, poiché tutti si confrontano con la medesima situazione a partire da posizioni differenti. Ecco perché la corrente insurrezionalista è coinvolta e messa a confronto con le lotte tanto quanto la corrente comunizzatrice. [...]

Versione pdf »

giovedì 23 gennaio 2014

"Anzola è il mondo?": presentazione a Radio Blackout

A proposito della lotta alla Coop Adriatica di Anzola dell'Emilia, delle lotte operaie nel settore della logistica e di molto altro ancora 

Intervento di due membri della redazione de "Il Lato Cattivo" nel corso della trasmissione "Cattivi pensieri", andata in onda su Radio Blackout il 14 gennaio 2014.


mercoledì 22 gennaio 2014

A proposito di “critica del valore”: una lettera ad Anselm Jappe

J.-C. 

Ne “Il Lato Cattivo”, n. 1 (gennaio 2012), avevamo dedicato un pugno di righe alla Wertkritik, inserendola tra quelle tendenze che considerano la fase attuale come caratterizzata da un «superamento della contraddizione fra proletariato e capitale nel quadro del capitalismo stesso» (p. 7); avevamo aggiunto che «sebbene il più delle volte queste teorizzazioni siano prive della necessaria fondatezza [...] ciò non ci spiega affatto perché esistano. Gli sviluppi problematici della teoria rivoluzionaria contemporanea derivano tutti, in ultima istanza, dall'impossibilità, per il proletariato, di opporre al capitale ciò che esso è all'interno del modo di produzione capitalistico come fondamento della rivoluzione» (ibid.). Nel lasso di tempo da allora trascorso, nulla sembra dover essere rettificato rispetto a quella valutazione. Molto si potrebbe invece aggiungere, giacché non in molti si sono fin'ora cimentati in una disamina critica della Wertkritik, e il suo successo sembra in ascesa. [Dall'Introduzione redazionale]

domenica 12 gennaio 2014

Ci è venuta in sogno la realtà

Per un confronto con le pratiche e le teorie dell'azione diretta

Il Lato Cattivo

La congiuntura attuale [...] è caratterizzata dall’impasse delle teorie e delle pratiche dell’azione diretta, che per circa un decennio si sono contrapposte frontalmente al progetto di riorganizzazione societaria del democratismo radicale, compendiato nello slogan «un altro mondo è possibile». Tali teorie e tali pratiche – ideologicamente connotate come “autonome” o “anarchiche” – avevano ed hanno come orizzonte il fatto, da un lato, di porre il comunismo come una questione attuale, e dall’altro – rifiutando ogni mediazione temporale –, di trasformarlo immediatamente in una serie di forme di lotta, di comportamenti o modi di vita, che sarebbe possibile isolare come insieme di pratiche già adeguate alla rivoluzione comunista o, più concisamente, come “il comunismo in atto”. In questo senso, la promozione dell’alternativa, sebbene non sia sempre chiaramente formulata o praticata, è la loro tendenza naturale.
La teoria della comunizzazione – o almeno alcune sue correnti – è presa, da un lato, in un fraterno scambio di insulti con gli zombie delle Sinistre Comuniste storiche (“bordighista” e “consiliarista”), dall’altro in un confronto acceso e più proficuo con tutte queste teorie e pratiche dell’azione diretta. La sua specificità è di non averle considerate come una “deviazione” ideologica rispetto ad una norma, ma come una manifestazione necessaria – tra molte altre – che racchiude a suo modo il contenuto rivoluzionario dell’attuale ciclo di lotte: la rivoluzione sarà immediatamente comunista o non sarà.