Il comunismo è e rimane l'unica prospettiva di superamento positivo della società capitalistica. Ma quest'ultima, malgrado le sue traversie, pare divenuta un orizzonte insuperabile, e le forze protese al suo abbattimento sono oggi ridotte alla clandestinità e alla dispersione, se non al disorientamento. L'epoca del movimento operaio tradizionale, delle transizioni socialiste e dei loro programmi si è da tempo conclusa. Il patrimonio delle lotte e delle correnti teoriche del passato richiede un riesame profondo per separare ciò che è vivo da ciò che è morto. Il rapporto intercorrente tra le lotte quotidiane del proletariato, i movimenti interclassisti di massa dell'ultimo decennio e la rottura rivoluzionaria possibile appare più enigmatico che mai. La teoria comunista richiede nuovi sviluppi, per essere restaurata nelle sue funzioni. La necessità di affrontare questi nodi ci interpella in prima persona, come dovrebbe interpellare tutti i sostenitori del «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». I nostri mezzi sono a misura alle nostre forze: modesti. Impossibile in queste condizioni pretendere di essere i fautori unici e infallibili di una rifondazione teorica che arriverà a maturità solo in un futuro non prossimo. Ma è solo iniziando a camminare che si cominciano a tracciare strade percorribili.

venerdì 21 giugno 2013

Il Grande Calibano

Storia del corpo sociale ribelle nella prima fase del capitale

Silvia Federici e Leopoldina Fortunati (1984)
 

    L’analisi della formazione del proletariato che proponiamo in questo saggio procede su binari diversi da quelli percorsi generalmente dagli storici marxisti i quali ‒ dai classici, ai teorici dell'autonomia del politico ‒ danno, a parer nostro, un'immagine limitata e parziale di tale processo. Il limite che rileviamo qui, per quanto li concerne, è quello di aver considerato il passaggio al capitalismo essenzialmente negli effetti che esso ha avuto sul processo della produzione delle merci. Di conseguenza, i sostanziali mutamenti indotti nell'individuo sono stati assunti come il risultato immediato e diretto delle trasformazioni operate dall'organizzazione di «fabbrica» (intesa in senso lato), quali l'allungamento della giornata lavorativa, l'approfondimento della divisione del lavoro, la tendenza alla concentrazione dei mezzi e degli agenti della produzione e interamente ricondotti a queste.
Radicalmente diverse sono, come accennavamo sopra, le premesse teoriche da cui noi partiamo. È oggi ormai acquisito che la riproduzione è l'altro polo della produzione di plus-valore. Ma riconoscere questo non basta: non ha senso nemmeno dire prima la fabbrica, poi la «società». Certamente è in prospettiva l'organizzazione della fabbrica che determina il tipo di individuo che il capitale cerca di plasmare. È altrettanto vero tuttavia che l'instaurarsi della nuova disciplina del lavoro ha richiesto come passaggio preliminare la determinazione sul terreno della riproduzione di un nuovo individuo sociale, forgiato sia attraverso la distruzione di quegli elementi precapitalistici che si presentavano antagonistici rispetto alla nuova disciplina, sia attraverso lo sviluppo di nuove capacità e attitudini.
Anzi, sarebbe opportuno rovesciare l’ordine temporale e dire prima «società» e poi fabbrica, nel senso che ci sono voluti ben tre secoli per sedimentare la forza-lavoro come merce disponibile sul mercato. Tre lunghi secoli di lotte tra proletariato e capitale: così a lungo è infatti durato il loro braccio di ferro, prima che si sedimentasse un individuo ad immagine e somiglianza di una merce, la forza-lavoro. Questa merce, che il capitale della grande industria pone come presupposto e condizione della sua esistenza, è in realtà il risultato di un laborioso processo nel corso del quale il capitale rivoluziona ogni rapporto sociale e soprattutto le condizioni sociali del processo di riproduzione. Quella che viene definita la «società» del capitale è basilarmente fondata sull'invisibile fabbrica in cui si produce e riproduce la forza-lavoro: è questa la prima fabbrica sviluppata dal capitale, nonché vincolata fin da subito a una produzione di massa.

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martedì 11 giugno 2013

"SIC" - Incontro internazionale sulla comunizzazione a Montpellier

La rivista "SIC" organizza anche quest'anno, nei pressi di Montpellier, un incontro internazionale di discussione e approfondimento teorico, che avrà luogo dal 7 al 15 luglio. Per l'occasione pubblichiamo, in traduzione italiana, l'Editoriale del n.1 della rivista (novembre 2011).

Precisiamo che nel corso dell'ultimo anno, oltre a quelli citati nel testo, hanno partecipato al dibattito che ruota intorno a questa pubblicazione, anche compagni canadesi, belgi, cechi e di lingua tedesca, oltre naturalmente a noi del "Il Lato Cattivo". 

Per informazioni riguardanti l'incontro, scrivere a: pepe@communisation.net

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Nel corso della lotta rivoluzionaria, l’abolizione dello Stato, dello scambio, della divisione del lavoro, di tutte le forme di proprietà, l’estensione della gratuità come unificazione dell’attività umana, ovvero l’abolizione delle classi, della sfera pubblica e di quella privata, sono delle «misure» che aboliscono il capitale, imposte dalle necessità stesse della lotta contro la classe capitalista. La rivoluzione è comunizzazione, essa non ha il comunismo come progetto o risultato. [...]
Tra la fine degli anni 1960 e l’inizio dei '70, tutto un periodo storico durante il quale, in maniere diverse, la rivoluzione era stata concepita, tanto teoricamente che praticamente, come l’affermazione del proletariato, il suo ergersi a classe dominante, la liberazione del lavoro, l’instaurazione di un periodo di transizione, entra in crisi e giunge a compimento. È in questa crisi che il concetto di comunizzazione apparve.