Il comunismo è e rimane l'unica prospettiva di superamento positivo della società capitalistica. Ma quest'ultima, malgrado le sue traversie, pare divenuta un orizzonte insuperabile, e le forze protese al suo abbattimento sono oggi ridotte alla clandestinità e alla dispersione, se non al disorientamento. L'epoca del movimento operaio tradizionale, delle transizioni socialiste e dei loro programmi si è da tempo conclusa. Il patrimonio delle lotte e delle correnti teoriche del passato richiede un riesame profondo per separare ciò che è vivo da ciò che è morto. Il rapporto intercorrente tra le lotte quotidiane del proletariato, i movimenti interclassisti di massa dell'ultimo decennio e la rottura rivoluzionaria possibile appare più enigmatico che mai. La teoria comunista richiede nuovi sviluppi, per essere restaurata nelle sue funzioni. La necessità di affrontare questi nodi ci interpella in prima persona, come dovrebbe interpellare tutti i sostenitori del «movimento reale che abolisce lo stato di cose presente». I nostri mezzi sono a misura alle nostre forze: modesti. Impossibile in queste condizioni pretendere di essere i fautori unici e infallibili di una rifondazione teorica che arriverà a maturità solo in un futuro non prossimo. Ma è solo iniziando a camminare che si cominciano a tracciare strade percorribili.

martedì 10 dicembre 2013

Come poter ancora rivendicare quando nessuna rivendicazione può essere soddisfatta

Le lotte disperate in Francia 

Jeanne Neton & Peter Åström

[...] Le lotte contro la chiusura degli stabilimenti sono un'eccezione a questa regola. In questi casi i lavoratori non hanno più niente da perdere, e possono reclamare un salario differito sotto forma di indennità di licenziamento, senza doversi preoccupare della salute futura della loro impresa. Precedentemente, i dipendenti di queste aziende teatro di sequestri e di altre azioni illegali, avevano sovente accettato il peggioramento delle proprie condizioni di lavoro e, a volte, dei tagli sui salari, nella speranza di scongiurare la chiusura dell'azienda. Ma quando questa chiusura diventa inevitabile, la rabbia per aver acconsentito a così tanto per ottenere nulla in cambio, e la coscienza di non aver più nulla da perdere, si traducono in forme di lotta disperate, nelle quali è chiaro che il futuro stato di salute dell'azienda non è più una preoccupazione e che tutte le promesse di riqualificazione non possono sostituire l'unica cosa che rimane tangibile: la moneta sonante. Queste lotte si sono mostrate efficaci, nella misura in cui i lavoratori interessati hanno ottenuto degli indennizzi che vanno ben oltre quelli previsti dalla legge. Così, secondo Christine Ducros e Jean-Yves Guérin, i dipendenti che ricorrono a tali forme di azione, ricevono in media un compenso aggiuntivo quattro volte superiore rispetto a quelli che non lo fanno. Qui, il carattere frazionato delle lotte non è il segno di una loro intrinseca debolezza, ma piuttosto ciò che ha permesso loro di vincere, giacché un’eventuale generalizzazione di queste forme di lotta le renderebbe inaccettabili per la classe capitalista.

lunedì 2 dicembre 2013

“Anzola è il mondo?” Una risposta al SI Cobas

Il Lato Cattivo & C.  

Cari compagni/e, 

abbiamo letto la risposta al nostro Anzola è il mondo?, apparsa sul Vostro sito web e significativamente intitolata Come mosche sulla merda. Quel che ne abbiamo ricavato, di primo acchito, è un moto di fastidio; fastidio dovuto non tanto, come qualcuno potrebbe pensare, a una nostra ipotetica idiosincrasia per la critica e l’invettiva che ci vengono rivolte (lungi da noi!); ma piuttosto suscitato dall’impressione che la «prima lettura» del nostro opuscolo da parte dell’autore o degli autori di questa risposta, sia stata alquanto frettolosa, per non dire offuscata dal pregiudizio – meglio, da una certa forma mentis – che li ha indotti a inanellare una lunga sfilza di fraintendimenti. Ma procediamo con ordine.
Come prima cosa, e a scanso di equivoci, è bene chiarire che i principali autori del testo in questione sono un disoccupato, un operatore socio-sanitario e un’educatrice; proletari tra i proletari, i cui salari (quando hanno la fortuna di riceverne uno) sono abbastanza simili a quelli dei facchini che hanno in tasca la tessera del SI Cobas. Ma certo, per aver letto un pochino Marx, per essersi presi il tempo di riflettere e scrivere un testo di 48 pagine, costoro non potevano essere che degli «intellettuali» e dei «piccolo-borghesi»! Si sa: gli operai non hanno tempo per pensare! Ci torneremo sopra.
Veniamo dunque a quello che scrivono – in buona o in malafede – gli autori di Come mosche sulla merda, e confrontiamolo con la realtà. [...]
 
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martedì 26 novembre 2013

Anzola è il mondo?

A proposito della lotta alla Coop Adriatica di Anzola dell'Emilia, delle lotte operaie nel settore della logistica e di molto altro ancora 

Autori alcuni/e compagni/e 
   
    La maggior parte dei compagni che hanno steso questo documento erano presenti ai picchetti, alle assemblee, e mantengono rapporti con i lavoratori più combattivi all'interno del magazzino e con alcuni dei licenziati rimasti in Italia (essendo quasi tutti immigrati). Dunque l'esito della lotta di Anzola davvero non ci gratifica. Ma ci permette di formulare “in situazione” (e non in astratto) qualche riflessione su quella radicale impossibilità di un percorso cumulativo e progressivo di rivendicazioni, sempre più allargate ed inclusive in rapporto ai vari segmenti della classe, che a nostro avviso marca l'attuale ciclo di lotte; ci permette di parlare della centralità e soprattutto dell'illegittimità della rivendicazione salariale all’interno di quest’ultimo, precipitata dalla crisi scoppiata nel 2008; ci permette di parlare della fine del movimento operaio e dell'appartenenza di classe, che da “orgoglio proletario” è diventata semplicemente l'obbligo di guadagnarsi il pane col sudore della fronte (laddove è possibile); ci permette infine di valutare, in vitro, l'obsolescenza dei vecchi schemi del programma proletario rivoluzionario (per lo più marxista, ma non solo) e come andare oltre

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[Il testo è disponibile anche in formato cartaceo. Chi fosse interessato può farcene richiesta all'indirizzo e-mail  il.lato.cattivo@gmail.com]  

venerdì 22 novembre 2013

Spettri di Marx all’Hotel Bauen

Una lettera da lontano

R. F.  

Carissimi,
 
forse avrete letto il breve servizio apparso qualche giorno fa sul sito del Corriere della Sera, a proposito dell’Hotel Bauen, l’albergo a 4 stelle situato nel centro di Buenos Aires, che dal 2001 viene autogestito dagli ex-dipendenti. A questo proposito, vorrei condividere con voi qualche riflessione fatta a braccio, ed un po' di fantapolitica rivoluzionaria. 
   Innanzitutto, mi pare sintomatico che il Corriere e altri mezzi d’informazione (perfino Mediaset!), dopo aver taciuto per lungo tempo sull’argomento, tornino a parlarne proprio adesso. Con il catastrofico aggravarsi della crisi – che prevedibilmente subirà un'ulteriore accelerazione nel 2014-2015 (gli stessi analisti della Federal Reserve vedono già all'orizzonte una colossale bolla creditizia/immobiliare in arrivo dalla Cina) – forse l'inconscia speranza, da parte padronale, è che i proletari salvino il capitale rimettendolo in funzione per proprio conto, naturalmente senza rompere con lo scambio, il denaro, la merce, lo Stato etc. D’altra parte, stiamo parlando di un fenomeno che esiste realmente, e la cui dimensione non è trascurabile.

domenica 13 ottobre 2013

Al limite: l'autorganizzazione in Grecia

Anna O'Lory (Blaumachen)

   Oggi, in Grecia, mentre lo Stato si disimpegna dalla riproduzione della forza-lavoro sul piano del welfare, sostituendolo con il workfare (sussidi condizionati all'obbligo di lavorare, ndt) e con la gestione poliziesca; mentre i capitali, piccoli e grandi, sono costretti a ritirarsi dagli investimenti e dalla produzione, e ad espellere una gran parte della popolazione dal lavoro contrattualizzato verso il lavoro informale/precario e la disoccupazione, si assiste al riaffiorare di attività autorganizzate ed egualmente a un nuovo interesse verso di esse, in particolare da parte dello Stato. Questa attività di autorganizzazione è una risposta diretta all'eliminazione delle fonti anteriori della riproduzione (salari, pensioni, welfare), che appare come una necessità. Non solo l’autorganizzazione è sintomatica della crisi, ma ne è totalmente impregnata. L'obiettivo, qui, è di esporre alcune riflessioni su queste attività, non per sapere se esse siano un bene o un male, o per dire che la gente dovrebbe fare altro, ma alla luce dei limiti o delle contraddizioni con le quali queste si confrontano. Denaro, scambio delle merci, valore e lavoro astratto saranno categorie di importanza fondamentale nello svolgimento del discorso.

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mercoledì 18 settembre 2013

Sul concetto di "feticismo"

«Théorie Communiste» 

[…] La questione della relazione tra essenza e forme di manifestazione ci conduce a quella del feticismo. Quanto abbiamo detto su questa relazione ci porta a non cercare un punto di vista sul feticismo che abbia il privilegio di non esserne vittima e che ci autorizzi a dire: «ecco il feticismo!». È il feticismo stesso che in quanto tale si dà per ciò che è, in maniera interna, ingenuamente, poiché non è un velo che copre la realtà, ma una pratica sociale che definisce la realtà stessa. Concretamente – saremmo tentati di dire empiricamente – le classi sociali e la loro contraddizione non si costruiscono e non si manifestano a se stesse svelando il feticismo, ma grazie ad esso, all'interno del suo movimento (ancora una volta, siamo spinoziani e non cerchiamo l'essere al di fuori dei suoi attributi!).

lunedì 16 settembre 2013

Sulla presunta ambivalenza del concetto di comunismo

«Théorie Communiste» 

Il termine “comunismo” sembra portare con sé, nel suo utilizzo, un’ambiguità: movimento e risultato. Ma l’ambiguità esiste soltanto per i nostri miserabili cervelli, spontaneamente infettati d’idealismo. 
Ci sarebbero dunque due utilizzi della parola “comunismo” : « Il comunismo, per noi, non è uno stato di cose che debba essere instaurato o un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. » (Marx & Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1972, pagg. 24-25), e il comunismo come “società”, “comunità”, in breve “come sarà dopo...”, come “risultato”. In realtà, tra questi due “comunismi”, ce n’è uno che esiste e l’altro no. Questa dualità è il risultato di un pensiero completamente folle, che considera da un lato un movimento di produzione, e dall’altro lato il risultato di questo movimento di produzione come fosse una conclusione che si trova già da qualche parte, in attesa. In attesa dell’effettuazione del primo. 

domenica 8 settembre 2013

Dalla Svezia alla Turchia. Disparità nella dinamica dell’epoca delle rivolte

Blaumachen

L’esplosione sociale in Turchia ci obbliga imperativamente a guardare più da vicino quel che succede, quel che si produce, quali sono i nuovi limiti prodotti nel corso di ciò che abbiamo chiamato l’epoca della rivolte e come saranno superati. La combinazione degli eventi in Svezia e in Turchia, il loro incontro nel tempo, conferma l’esistenza di due dinamiche della lotta di classe che evolvono in relativa autonomia. Non possiamo ignorare che l’incontro atteso fra queste pratiche non si annuncia gioioso, poiché esso andrà a porre la questione dei rapporti tra due soggetti che si stanno producendo e che non hanno per il momento un orizzonte comune nella loro attività. La posta dal punto di vista della rivoluzione è come si produrrà, sulla base del loro incontro, il loro necessario superamento: la trasformazione della lotta in misure comuniste contro il capitale, ovvero in una rimessa in causa di tutti i ruoli che costituiscono la società, ovvero in comunizzazione

venerdì 21 giugno 2013

Il Grande Calibano

Storia del corpo sociale ribelle nella prima fase del capitale

Silvia Federici e Leopoldina Fortunati (1984)
 

    L’analisi della formazione del proletariato che proponiamo in questo saggio procede su binari diversi da quelli percorsi generalmente dagli storici marxisti i quali ‒ dai classici, ai teorici dell'autonomia del politico ‒ danno, a parer nostro, un'immagine limitata e parziale di tale processo. Il limite che rileviamo qui, per quanto li concerne, è quello di aver considerato il passaggio al capitalismo essenzialmente negli effetti che esso ha avuto sul processo della produzione delle merci. Di conseguenza, i sostanziali mutamenti indotti nell'individuo sono stati assunti come il risultato immediato e diretto delle trasformazioni operate dall'organizzazione di «fabbrica» (intesa in senso lato), quali l'allungamento della giornata lavorativa, l'approfondimento della divisione del lavoro, la tendenza alla concentrazione dei mezzi e degli agenti della produzione e interamente ricondotti a queste.
Radicalmente diverse sono, come accennavamo sopra, le premesse teoriche da cui noi partiamo. È oggi ormai acquisito che la riproduzione è l'altro polo della produzione di plus-valore. Ma riconoscere questo non basta: non ha senso nemmeno dire prima la fabbrica, poi la «società». Certamente è in prospettiva l'organizzazione della fabbrica che determina il tipo di individuo che il capitale cerca di plasmare. È altrettanto vero tuttavia che l'instaurarsi della nuova disciplina del lavoro ha richiesto come passaggio preliminare la determinazione sul terreno della riproduzione di un nuovo individuo sociale, forgiato sia attraverso la distruzione di quegli elementi precapitalistici che si presentavano antagonistici rispetto alla nuova disciplina, sia attraverso lo sviluppo di nuove capacità e attitudini.
Anzi, sarebbe opportuno rovesciare l’ordine temporale e dire prima «società» e poi fabbrica, nel senso che ci sono voluti ben tre secoli per sedimentare la forza-lavoro come merce disponibile sul mercato. Tre lunghi secoli di lotte tra proletariato e capitale: così a lungo è infatti durato il loro braccio di ferro, prima che si sedimentasse un individuo ad immagine e somiglianza di una merce, la forza-lavoro. Questa merce, che il capitale della grande industria pone come presupposto e condizione della sua esistenza, è in realtà il risultato di un laborioso processo nel corso del quale il capitale rivoluziona ogni rapporto sociale e soprattutto le condizioni sociali del processo di riproduzione. Quella che viene definita la «società» del capitale è basilarmente fondata sull'invisibile fabbrica in cui si produce e riproduce la forza-lavoro: è questa la prima fabbrica sviluppata dal capitale, nonché vincolata fin da subito a una produzione di massa.

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martedì 11 giugno 2013

"SIC" - Incontro internazionale sulla comunizzazione a Montpellier

La rivista "SIC" organizza anche quest'anno, nei pressi di Montpellier, un incontro internazionale di discussione e approfondimento teorico, che avrà luogo dal 7 al 15 luglio. Per l'occasione pubblichiamo, in traduzione italiana, l'Editoriale del n.1 della rivista (novembre 2011).

Precisiamo che nel corso dell'ultimo anno, oltre a quelli citati nel testo, hanno partecipato al dibattito che ruota intorno a questa pubblicazione, anche compagni canadesi, belgi, cechi e di lingua tedesca, oltre naturalmente a noi del "Il Lato Cattivo". 

Per informazioni riguardanti l'incontro, scrivere a: pepe@communisation.net

* * *

Nel corso della lotta rivoluzionaria, l’abolizione dello Stato, dello scambio, della divisione del lavoro, di tutte le forme di proprietà, l’estensione della gratuità come unificazione dell’attività umana, ovvero l’abolizione delle classi, della sfera pubblica e di quella privata, sono delle «misure» che aboliscono il capitale, imposte dalle necessità stesse della lotta contro la classe capitalista. La rivoluzione è comunizzazione, essa non ha il comunismo come progetto o risultato. [...]
Tra la fine degli anni 1960 e l’inizio dei '70, tutto un periodo storico durante il quale, in maniere diverse, la rivoluzione era stata concepita, tanto teoricamente che praticamente, come l’affermazione del proletariato, il suo ergersi a classe dominante, la liberazione del lavoro, l’instaurazione di un periodo di transizione, entra in crisi e giunge a compimento. È in questa crisi che il concetto di comunizzazione apparve. 

venerdì 19 aprile 2013

Tale Quale (terza puntata)

«Théorie Communiste»

La congiuntura è prima di tutto un cambiamento di temporalità, un'uscita dal ripetitivo, la porta stretta, presto richiusa, dalla quale può arrivare un altro mondo. La congiuntura è la pratica cosciente del fatto che questo si gioca nell'attuale, è tanto l'eredità del passato che la costruzione del futuro: essa è un presente, il momento dell'“al presente”.


lunedì 15 aprile 2013

Tale Quale (seconda puntata)

«Théorie Communiste»

Ciò che, da un lato, per “quelli che stanno in alto”, è l'impossibilità di continuare a sfruttare e a governare come prima, dall'altro lato, per la classe sfruttata, per “quelli che stanno in basso”, nella loro infinita diversità, è la rimessa in questione della propria esistenza di classe dentro questa impossibilità di vivere come prima. Nella sua contraddizione al capitale, è la propria esistenza come classe che quest'ultima si trova ad affrontare, è la propria lotta necessaria in quanto classe a diventare una contraddizione per se stessa. Dal lato del proletariato, con la scomparsa dell'identità operaia, la situazione comune agli sfruttati non è più nient'altro che la loro separazione. La tensione all'unità esiste nello scontro con le separazioni; ma allora essa è identica alla produzione dell'appartenenza di classe come una costrizione esteriore. La crisi attuale è una crisi del rapporto salariale, tanto come capacità di valorizzazione del capitale, quanto come capacità di riproduzione della classe operaia in quanto tale.


mercoledì 27 marzo 2013

Tale Quale (prima puntata)

«Théorie Communiste»

«Il capitale è una contraddizione in processo: da una parte esso spinge alla riduzione del tempo di lavoro a un minimo e, d'altra parte, esso pone il tempo di lavoro come la sola fonte e la sola misura della ricchezza.» (Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica)
Questa contraddizione era l'essenza di tutto, aveva una forma semplice e omogenea, comprendeva tutto, spiegava tutto, ma... allo stesso modo in cui una valanga trascina con sé ogni cosa sul suo cammino. Tutto il resto non era che fenomeno e accidente, contingenza. Dopo l'economia, tutte le altre istanze del modo di produzione non apparivano che come comparse. La segmentazione stessa del proletariato, la molteplicità delle contraddizioni nelle quali erano presi questi segmenti, la contraddizione fra uomini e donne, le altre classi trascinate nella lotta con i loro propri obiettivi, non erano che le ombre proiettate sul fondo della caverna della realtà sostanziale sempre già data dell'unità della classe e del divenire del capitale come contraddizione in processo. Porre la contraddizione era ipso facto cogliere il processo della sua abolizione e la produzione del suo superamento.


lunedì 18 marzo 2013

Il proletariato e il problema della direzione rivoluzionaria

seguito da L'esperienza proletaria e due appendici critiche

Claude Lefort (1952)

   L'esperienza proletaria di oggi ruota tutta intorno alla fine dell'identità operaia. Posta così, quest'affermazione non pone particolari problemi a chicchessia: anche i nostalgici del Gran Partito e dei ranghi compatti della classe operaia sono talvolta disposti a riconoscere la “crisi d'identità” della classe per la quale militano. Il problema sorge nel momento in cui si va a “grattare nel torbido” di questa crisi d'identità. Forse che essa è solo e unicamente imposta – prodotto dell'offensiva capitalista e dell'arretramento delle lotte? O è piuttosto un qualcosa che la classe, da parte sua, assume e declina attivamente nei suoi comportamenti e nelle sue lotte?
I due articoli di Socialisme ou Barbarie che qui proponiamo ci dicono principalmente una cosa (è il motivo per cui li proponiamo): che la classe come materia prima, semplice oggetto del capitale, è una “robinsonata” non meno patente di quelle dell'economia politica classica duramente criticate da Marx. [Tratto dall'introduzione redazionale]

giovedì 28 febbraio 2013

La catena di montaggio inizia in cucina, al lavello, nei nostri corpi

Intervista a Silvia Federici

   Rendiamo qui disponibile, in traduzione, una breve intervista a Silvia Federici, pubblicata di recente in spagnolo, e incentrata sulla sua opera più conosciuta Caliban and the Witch (2004), a sua volta rielaborazione del più vecchio Il Grande Calibano (1984), scritto in italiano con Leopoldina Fortunati. [...]
Ci proponiamo di rendere presto disponibile su questo blog Il Grande Calibano, ed è precisamente a scopo propedeutico che pubblichiamo questa intervista. Ciò corrisponde alla nostra volontà di sviluppare, sulla lunga distanza, un discorso articolato sui temi della riproduzione (dei rapporti sociali capitalistici), del femminismo e del genere. La continua e inesausta messa a fuoco della definizione del capitale – come rapporto sociale, come totalità e come contraddizione in processo – non può prescindere dalla comprensione di ciò che sono il valore e il plusvalore (la contraddizione proletariato-capitale), ma non si può più pensare che sia sufficiente fermarsi là. Il fatto è che qualcosa di non tematizzato, perfino di rimosso, di non immediatamente riconducibile al plusvalore, ma che riguarda nondimeno le sue condizioni di esistenza, ne cade fuori; e l'emersione del femminismo radicale degli anni '70 ne è stata precisamente l'illuminazione: un lampo nella notte. Tutto ciò fu interpretato allora da marxisti e non marxisti – anche dai più lucidi – come una deviazione modernista, preludio al post-modernismo ideologico degli anni '80 e '90: come un ostacolo in più, insomma, sulla strada lunga e dura dell'unità di classe e della rivoluzione proletaria. È tempo di ammetterlo: fu un errore. [Tratto dall'introduzione redazionale]

martedì 19 febbraio 2013

Della rivoluzione

Jacques Camatte (1972)

Nel ristretto ambito di coloro che si pongono (ancora? Sì, ancora) il problema della rivoluzione e del comunismo, sono forse noti per qualcuno il nome e la parabola di un individuo di nome Jacques Camatte. Membro del Partito Comunista Internazionale («Il Programma Comunista») fino al 1968, egli fu poi fondatore della rivista «Invariance», la cui pubblicazione proseguì, a più riprese, per tutto l'arco degli anni '70 e oltre. Se la prima serie di «Invariance» si richiamava ancora all'ortodossia della Sinistra comunista italiana – rivendicata di contro a tutti i conglomerati formali del bordighismo, Programma Comunista in primis –, e se invece con l'inizio della terza serie veniva definitivamente abbandonato il tema della rivoluzione comunista mondiale in favore di una problematica (grossomodo psicoanalitica) di liberazione di tutta la specie umana da una repressione interiorizzata, la seconda serie è quella che segna il passaggio da una prospettiva all'altra ed è – anche per questo – quella che conserva ancora oggi qualche motivo di interesse per la comprensione attuale della guerra di classe sempre in corso. A patto di farne una lettura sintomale – e speriamo non sfugga l'ironia. [Tratto dall'introduzione redazionale]

giovedì 31 gennaio 2013

Dall'autorganizzazione alla comunizzazione

R.S.

Designare la rivoluzione come comunizzazione è dire questa cosa abbastanza banale, che l'abolizione del capitale è l'abolizione di tutte le classi, compreso il proletariato, e non la sua liberazione, il suo ergersi a classe dominante che organizza la società secondo i propri interessi. È dire che l'abolizione dello scambio, della divisione del lavoro, della merce, della proprietà, dello Stato, delle classi, non sono delle misure da prendersi dopo la vittoria della rivoluzione, ma le sole misure attraverso le quali la rivoluzione può trionfare. È dire, inversamente, che non c'è “periodo di transizione”. Il proletariato non fa la rivoluzione per instaurare il comunismo, ma attraverso l'instaurazione del comunismo. In questo, tutte le misure della lotta rivoluzionaria saranno misure di comunizzazione. Al di qua, non vi è che la società attuale. Le sconfitte delle rivoluzioni tedesca e spagnola ne sono la triste verifica.

venerdì 11 gennaio 2013

"Il movimento comunista": introduzione

Jean Barrot (1972)

Il marxismo conosce nuovi progressi ad ogni riemersione pratica del movimento (1871, 1917), ma questo sviluppo non è che una parte del suo ciclo. La teoria del movimento comunista nasce, come si è visto, da condizioni particolari, in seguito lo sviluppo del capitale la manda in pezzi nello stesso momento in cui distrugge la classe in quanto tale. È la fase della revisione dottrinale, dell'integrazione al movimento del capitale, alle quali non si oppongono che affermazioni teoriche e pratiche unilaterali, certo importanti, e vitali per il movimento (nella misura in cui testimoniano della sua vita, e non in cui gli donerebbero vita come tali: ma le correnti radicali non possono allora operare che tramite questa inversione, e prendere se stesse per il motore della storia). Ma simili affermazioni esprimono ancora una frammentazione. Una situazione nuova non può essere prodotta che quando il capitale inizia ad incontrare il termine del suo ciclo, facendo così apparire alla luce del giorno le sue contraddizioni economiche (meccanismo di estrazione del plusvalore) e dunque sociali (proletariato/capitale). Ben inteso, la manifestazione delle sue contraddizioni è profondamente differente dalle forme che assumeva all'inizio del ciclo. La teoria comunista può iniziare a fare la sintesi dei suoi concetti essenziali. Questo processo di “totalizzazione” include naturalmente l'analisi dei fenomeni nuovi più importanti, ma solamente sulla base della comprensione dei punti essenziali. La teoria comunista non è semplicemente una totalità, ma anche un tutto gerarchizzato.